Il vero problema di molte persone è che utilizzano buona parte delle loro energie per non sentire le loro emozioni, per nasconderle, camuffarle, cercando di diventare iper razionali, facendoci credere di avere il controllo sul nostro sentire, andando piano piano ad annullare noi stessi ed allontanandoci da noi stessi e dagli altri, creando una barriera emozionale alienando il nostro sentire provando uno stato di apatia che ci porta a non sentire le emozioni positive e a fare fatica a gestire le emozioni negative, quali la rabbia, la paura e la tristezza.
Le nostre emozioni rappresentano un ponte tra i pensieri e le sensazioni fisiche e le nostre azioni.
Spesso crediamo che le emozioni negative non servano a niente, invece la rabbia a volte è come uno strumento, un “cacciavite” che può essere utilizzato per fissare un punto, un chiodo nel muro.
La tristezza serve innanzitutto a mantenere e creare legami e supporto sociale. La tristezza fa spesso sottofondo al processo di costruzione della nostra esperienza di vita. Viviamo in una società, dove la tristezza, se non è palesemente giustificata, come da un lutto, ci fa apparire, o temere di “non essere vincenti”, che gli altri se ne approfittino, sul lavoro, che ci faranno le scarpe o in una relazione che saremmo lasciati.
Spesso si teme che la tristezza porterà a depressione, o perché in passato ne abbiamo sofferto o abbiamo visto qualcuno che ne ha sofferto.
Ognuno di noi prova tristezza e abbiamo bisogno della vicinanza di qualcuno. La tristezza ci permette di riflettere sulle cose della nostra vita, per dire almeno a noi stessi che non siamo invulnerabili e non abbiamo tutto sotto controllo. Spesso nei nostri modelli operativi interni, generati dal nostro attaccamento genitoriale, dove le nostre emozioni non potevano essere espresse e che si doveva solo affidarsi a sé stessi. Tale dinamica ci porta a respingere le emozioni etichettandoli come mancanza di forza, di carattere, avendo paura della tristezza, come se si teme che vada ad aprire falle nella torre d’avorio nelle autonomie, che ci limitino ma ci fanno credere di essere al sicuro.
Non sentire o cercare di non sentire le nostre emozioni, può diventare una costosa abitudine che rischia di consolidarsi negli anni, anche in modo automatico. Un evento non digerito è un evento che non riesce a finire nel passato, ad essere immagazzinato nella memoria, riuscendo a lasciarlo alle spalle. Gli avvenimenti del passato non elaborati si ripercuotono sul presente, e sul futuro.
Per tanto lavorare sulle emozioni condizionanti che provengono dal passato, ci aiutano a lavorare sul presente e sul futuro.
Dott.ssa Iris Guazzetti
Psicologa Psicoterapeuta a Reggio Emilia (RE)
Psicologa Psicoterapeuta a Reggio Emilia (RE)
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