Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali colloca la patologia borderline sull’asse II, all’interno del “gruppo b” dei disturbi di personalità.
Il disturbo borderline, nello specifico, appartiene al cluster definito “drammatico-imprevedibile” (Roth, A., Fonagy, P. 1996) ed è descritto (American Psychiatric Association, 1994 - DSM-IV) come “una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e una marcata impulsività, comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti…”. Il DSM-IV elenca quindi una serie di nove criteri diagnostici di cui sono necessari almeno cinque per una “diagnosi” positiva. In questa definizione si può notare come sia necessario, per una corretta valutazione, che il quadro fenomenologico sia comparso “nella prima età adulta”. Sappiamo che la personalità di un individuo si formerebbe attraverso un lungo processo che ha luogo, probabilmente, nell’arco dell’intera esistenza. Sembrerebbe comunque ormai acquisito che le prime esperienze infantili giochino il ruolo più importante nel processo di sviluppo della personalità. Da uno studio condotto dalla Ludolph ed altri (1990) su un gruppo di ventisette ragazze adolescenti, sembra emergere la possibilità di utilizzare i criteri per una diagnosi di disturbo borderline di personalità negli adulti, anche in adolescenza. Il limite maggiore di questo studio sta nel campione, che prende in esame soltanto un piccolo gruppo di adolescenti femmine.
Riportiamo i nove criteri diagnostici utilizzati dal DSM-IV, dei quali, ricordiamo, sono necessari cinque o più per una “diagnosi” positiva di disturbo borderline:
L’ultimo criterio è stato aggiunto soltanto nella versione più recente del DSM. Nel DSM-III-R (A.P.A., 1987) infatti non era presente. I sintomi dissociativi, nei pazienti borderline, generalmente sembrano legati a situazioni stressanti perlopiù in risposta ad abbandono reale o immaginario. Il tema dell’abbandono sembra centrale in queste persone. Gli sforzi disperati di evitare l’abbandono espressi nel criterio 1, evidenziano l’alta sensibilità di questi individui verso le situazioni ambientali. Anche brevi separazioni o piccoli cambiamenti, come un lieve ritardo da parte di una persona significativa, potrebbero scatenare intensa paura di abbandono. Gli individui con BPD potrebbero credere che il rifiuto e l’abbandono da parte degli altri implichino il fatto di essere “cattivi”.
Il criterio cinque è probabilmente quello che pone maggiori problemi rispetto ad una diagnosi differenziale con i disturbi dell’umore. Il gesto suicidario, messo in atto dal soggetto con disturbo borderline di personalità, potrebbe avvenire in una condizione dissociativa transitoria e seguire un vissuto di senso di colpa per essere stati “cattivi” (DSM-IV, A.P.A. 1994). I gesti suicidari portano ad un suicidio riuscito nel 8-10% dei casi. I sentimenti di rabbia che spesso affliggono queste persone, possono essere scatenati dalla paura di una “minaccia” d’abbandono da parte dei caregiver, di amici o amanti. Una paura spesso non motivata che potrebbe nascere dalla percezione distorta che una disattenzione nei propri confronti, un rifiuto, ecc., siano indice di abbandono e rifiuto globali. I sentimenti cronici di vuoto e la noia che spesso provano i soggetti con disturbo borderline, li spingono a ricercare costantemente qualcosa da fare, come se dovessero “riempire” un “buco” mai pieno. Per definire un buco occorre descrivere quello che c’è intorno. Allo stesso modo per una comprensione del disturbo borderline crediamo necessario prendere in considerazione tutto quello che circonda l’organismo, quindi guardare al complesso di fattori che potrebbero aver influenzato lo sviluppo della personalità e che continuerebbero a mantenerlo. Per far questo abbiamo deciso di presentare in maniera distinta i diversi modelli teorici, considerando sempre che la tendenza attuale sembra essere verso l’integrazione. A tal proposito crediamo che la teoria dell’attaccamento abbia permesso di trovare uno spazio di incontro tra approcci apparentemente distanti.
Teoria comportamentale: la teoria comportamentale pone in estremo rilievo l’importanza di comprendere il comportamento umano entro il suo contesto, sia attuale, sia storico, e di concentrarsi sui rapporti funzionali. Il termine “comportamento” si riferisce a condotte sia pubbliche (cioè osservabili) sia private (cioè non osservabili), come il pensiero e i sentimenti. I comportamentisti postulano che entrambi i tipi di comportamento siano appresi e modellati dai medesimi processi. La teoria comportamentale propone che gran parte, ma non l’interezza, del comportamento sia appresa, cioè plasmata dal contesto e dai risultati che si verificano. Il rinforzo si riferisce alle conseguenze di un comportamento, che ne rendono più probabile il verificarsi, mentre la punizione è costituita dagli effetti che ne diminuiscono la probabilità di comparsa. I terapeuti TDC impiegano i concetti di modellaggio (shaping), cioè di rinforzamento per approssimazioni successive al comportamento meta, e di estinzione, cioè l’eliminazione di ogni rinforzo relativo a un comportamento precedentemente premiato, ottenendo così una riduzione nell’emissione dello stesso.
Dialettica: la dialettica consiste in una tradizione filosofica e retorica sostenitrice di una visione della realtà che pone in risalto la tensione fra opposti polari (tesi e antitesi) e il continuo processo di cambiamento e di trasformazione che deriva dall’elaborazione di una sintesi tra di essi. La dialettica suggerisce che l’esistenza e la natura della realtà siano caratterizzate da un mutamento costante e sottolinea il carattere interconnesso della realtà, suggerendo che non possiamo comprendere un’entità separatamente dal suo contesto, in quanto la distinzione fra questi viene considerata arbitraria piuttosto che reale. La filosofia dialettica è estremamente ricca e influenza la TDC in vari modi, i più importanti dei quali verranno qui discussi. Innanzitutto, il nucleo centrale della TDC è costituito dalla dialettica fra accettazione e cambiamento. I mutamenti e le trasformazioni della vita sono considerate nella TDC come il risultato della sintesi fra queste due posizioni. Su di una scala più ampia, le due altre scuole di pensiero che stanno alla base di questa terapia, la teoria comportamentale e la meditazione, possono essere considerate come l’incarnazione di tali tendenze opposte.
Meditazione (mindfulness): un concetto centrale di varie tradizioni meditative, di cui si fa ampio impiego nella TDC, è quello di consapevolezza, che si riferisce al modo in cui una persona dirige la propria attenzione. La maggior parte delle persone trascorre molto tempo occupandosi contemporaneamente di numerose cose, o in alternativa non prestando attenzione a ciò che sta accedendo al momento. La consapevolezza è il processo o la pratica di essere pienamente coscienti di ciò che sta verificandosi al momento, di dirigere la propria attenzione all’esperienza in corso. Ciò significa essere presenti all’istante attuale senza cercare di cambiarlo, giudicarlo o alterarlo, ma semplicemente cercare di averne un’esperienza completa. In questo modo, la consapevolezza incoraggia l’accettazione di ciò che è. Tale accettazione non significa approvazione, ma piuttosto semplice riconoscimento senza giudizio.
Linehan fa la distinzione tra mente razionale, emotiva e saggia. La mente razionale ha un approccio intellettuale alla conoscenza delle cose, ragiona razionalmente e secondo logica, è fredda nell’affrontare i problemi. La mente emotiva ragiona in modo illogico, i fatti vengono amplificati o distorti in accordo con lo stato affettivo attuale. La mente saggia rappresenta l’integrazione della mente razionale e della mente emotiva, superandole: essa infatti aggiunge una forma di conoscenza intuitiva all’esperienza emotiva e all’analisi logica. Le capacità di meditazione - mindfulness rappresentano il veicolo per equilibrare la mente emotiva e la mente razionale nel perseguimento della mente saggia.
Nella terapia dialettico-comportamentale si propone ai pazienti di considerare la presenza di stati fondamentali della mente, caratterizzati rispettivamente dalla mente razionale, dalla mente emotiva e dalla mente saggia. Nella prima di queste condizioni gli esseri umani svolgono un’esperienza conoscitiva di tipo intellettuale, nella seconda i pensieri e i comportamenti sono condizionati, in primo luogo, dallo stato emotivo del momento.
La mente saggia rappresenta l’integrazione delle condizioni razionale ed emotiva, ma costituisce anche il loro superamento. Negli stati mentali che essa contraddistingue, l’esperienza emotiva e la capacità di svolgere un’analisi razionale sono arricchiti dalla presenza di una conoscenza di tipo intuitivo. L’intuizione può essere definita in diversi modi. Deikman (1982) sostiene che si tratta di una forma di conoscenza non mediata dalla ragione e indipendente dalle afferenti sensoriali. Secondo questo autore, l’intuizione ha le qualità dell’esperienza immediata e permette di comprendere direttamente la natura della realtà, cogliendo gli aspetti più importanti, significativi e sostanziali di quanto accade, senza la necessità di ricorrere ad un’analisi razionale. La conoscenza intuitiva ha come base una forte tensione interna, verso la ricerca di maggiore coerenza nelle rappresentazioni della realtà (Polanyi, 1958). Sebbene l’esperienza e la ragione contribuiscano, in qualche modo, a questa forma di conoscenza, l’intuizione, tuttavia, mantiene una qualità soggettiva assolutamente specifica. La mente saggia prende forma, complessivamente, dalla piena cooperazione di tutte le possibili forme di conoscenza, che possono essere fondate sull’osservazione, sull’analisi razionale, sull’esperienza cenestesica e sensoriale, sull’apprendimento comportamentale e sull’intuizione (May, 1982). E’n necessario che i pazienti Borderline trovino il modo di accedere a questa funzione mentale. Quello che di fatto devono fare è liberarsi dagli aspetti troppo emotivi o da quelli troppo razionali, abbandonare le idee prestabilite e modulare le reazioni troppo eccessive, riuscendo così a raggiungere quel minimo livello di serenità che può permettere alla loro mente saggia di emergere in modo naturale senza essere ostacolata dalla presenza di altre forme di conoscenza intenzionale (fondate sulla razionalità) o automatica (fondate sull’emozioni). Per alcuni di loro (ma non per tutti) il primo compito è convincersi di avere realmente la possibilità di farlo. A volte, i pazienti Borderline mettono in dubbio anche la sola idea di poter avere una qualche forma di accesso d’una simile funzione.
La prima cosa che un terapeuta deve fare è ribadire con tranquillità che si tratta di una caratteristica comune a tutti gli esseri umani, più di molte altre che si presentano in modo esplicito: anche se con gli occhi non possiamo osservare il nostro cuore, non per questo cessiamo di possederlo. In secondo luogo, nella maggior parte dei casi può esser utile fornire al paziente alcuni esempi di circostanze nelle quali potrebbe avere già sperimentato in modo naturale questa condizione. A tale proposito, si può ricordare che a molte persone accade qualcosa del genere subito dopo una crisi che ha creato confusione nella loro vita e in queste occasioni la “saggezza” giunge dentro di loro come la quiete che fa seguito una tempesta. Si tratta di un’esperienza improvvisa che permette di cogliere subito l’essenza di un problema, di conoscere la realtà e di comprenderne il significato in modo lucido e immediato. A volte, può esserci come la percezione di uno scenario globale che si sostituisce alla visione più limitata delle singole parti. Altre volte, in situazioni problematiche, questa esperienza può assumere la forma di un’”ispirazione” che guida verso la scelta più opportuna: si tratta di un sentimento che proviene dalle parti più profonde di se e che non appartiene allo stato emotivo del momento.
Può essere utile, infine, favorire l’accesso alla “mente saggia” suggerendo lo svolgimento di esercizi che promuovono la condizione di pace interiore che accompagna il conseguimento di questo stato mentale. Linehan è solita dire ai suoi pazienti di seguire con la mente il loro respiro (concentrandosi sulle inspirazioni e le espirazioni), e dopo un po’ di tempo lasciare che il centro della loro attenzione coincida con il centro della loro fisicità, all’apice dell’inspirazione. Quasi tutti sono capaci di farlo ed è come se in quel preciso punto fosse contenuta la loro “saggezza”.
I pazienti borderline che mettono in atto gesti suicidari sono individui affettivamente intensi e labili (provano frequentemente sentimenti di rabbia, intensa frustrazione, depressione e ansia). La TDC prende le mosse dal presupposto che l’incapacità di regolare e modulare le emozioni dolorose sia un elemento cruciale per spiegare le difficoltà comportamentali di questi pazienti.
Dal loro punto di vista, i sentimenti penosi costituiscono “il problema da risolvere”. I gesti suicidari e gli altri comportamenti disfunzionali, come l’abuso di sostanze, rappresentano spesso la soluzione comportamentale alle loro intollerabili emozioni negative. Una tale labilità e intensità emotiva suggerisce che il paziente potrebbe sentirsi meglio se venisse aiutato ad apprendere come regolare le proprie emozioni. Insegnare le abilità di regolazione emozionale può essere un compito estremamente arduo, perché i borderline sono stati spesso rimpinzati di insegnamenti atti a convincerli che potrebbero modificare le loro emozioni se solo “cambiassero atteggiamento”.
Molti pazienti provengono da un ambiente in cui tutti sembrano mostrare un controllo cognitivo quasi perfetto sulle proprie emozioni e, per di più, hanno sempre manifestato un’assoluta intolleranza e una veemente disapprovazione rispetto all’incapacità di fare altrettanto. Spesso il borderline si oppone ad ogni tentativo di controllare le proprie emozioni, perché ciò significherebbe che gli altri hanno ragione, e che egli non dovrebbe sentire ciò che sente. La regolazione delle emozioni, perciò, può essere insegnata soltanto nel contesto di un’atmosfera di validazione emozionale. Occorre che nella regolazione emozionale vi sia l’applicazione delle abilità di meditazione- mindfulness- in questo caso, dell’osservazione non giudicante e della descrizione delle proprie risposte emotive del momento. Il presupposto teorico è che i disagi emotivi dei borderline derivino in gran parte dalle risposte secondarie (ad es. profonda vergogna, ansia o rabbia) alle emozioni primarie, che spesso, invece, risulterebbero adattive e adeguate al contesto. La riduzione di questo stress secondario richiede l’esposizione all’emozione primaria in un clima non giudicante. In un simile contesto, un’attenzione consapevole e non giudicante alle proprie risposte emotive può essere concepita come una tecnica di esposizione.
Nella categoria della regolazione delle emozioni, così come è concepita nella TDC, sono comprese diverse abilità:
Dott.ssa Iris Guazzetti
Psicologa Psicoterapeuta a Reggio Emilia (RE)
Psicologa Psicoterapeuta a Reggio Emilia (RE)
Partita IVA 02144480353
Iscritta all’Albo degli Psicologi dell’Emilia Romagna n. 3900/sezione A